Dopo l’infezione Covid-19 otto pazienti su dieci non riacquistano il completo benessere
di Romina Valentinotti*
I dati sinora emersi da svariati studi suggeriscono che le sequele dell’infezione da SARS-CoV-2 e della patologia Covid-19 potrebbero variare nella presentazione ed estendersi oltre il tipico periodo di recupero post virale. Alcuni pazienti sperimentano gravi complicazioni durante la fase acuta della malattia, che interessano la funzione polmonare, cardiovascolare, epatica, renale, cognitiva e neurologica. I guariti riferiscono una serie di sintomi persistenti che influiscono negativamente sul benessere fisico, mentale e sociale. Alcune di queste complicanze sembrerebbero verificarsi indipendentemente dalla gravità della forma acuta dell’infezione.
La maggior parte degli studi pubblicati per SARS-Cov-2 finora sono stati di dimensioni ridotte e principalmente incentrati sulle sequele cliniche in pazienti ricoverati in ospedale per Covid-19.
[3] Una storia lunga quarant’anni di Rosangela Peruzzo, Denise Baldi, Roberta Cavagna, Doriana Dandrea, Lorenzo Denart, Lucia Fabrizio, Marighetti Mara, Dinaornella Perer, Anna Valandro, Silvana Stefani, Mariateresa Zotta
[6] L’esperienza dell’ambulatorio di Trieste di Romina Valentinotti
[9] Priorità della qualità di vita del paziente di Alessia Dal Piaz
«Conservare la memoria del passato è stato uno dei compiti prioritari dell’uomo, perché il rischio era quello di dimenticare». Con l’avvento di Internet questo processo è stato capovolto, nel senso che ogni cosa viene ricordata e l’identità personale del singolo si trasforma in un’identità “estesa”, rispetto alla quale sorgono nuovi inquietanti problemi. Carlo Formenti, nell’introdurre il libro di V. M. Schönberger Delete. Il diritto all’oblio nell’era digitale, scrive: «[D]imenticare è facile, in quanto l’oblio è inscritto negli stessi meccanismi della specie» (p. VIII).
È qui che, piuttosto che lo sforzo messo in opera per ricordare, prende corpo lo sforzo opposto: quello di dimenticare, compresa la rimozione dalla memoria di quei contenuti che compromettono la reputazione di una persona.
Naturalmente, prima di procedere a tale compito, è necessario intendersi sul significato attuale di memoria.
Quella che è stata, con un’associazione tutt’altro che azzardata, definita dall’esperto di web intelligence Andrea Barchiesi la nuova biblioteca di Alessandria (La tentazione dell’oblio, Angeli, Milano, 2016, p. 23), cioè Google, è, di fatto, la nostra nuova memoria, ma una memoria dalle dimensioni smisurate che possiede elemento di assoluta novità – la caratteristica di essere connessa in una rete e alla quale chiunque può accedere in ogni parte del mondo (ibid).
“Cure palliative e hospice” significa accogliere e accompagnare persone con malattie non più guaribili, assieme ai loro familiari, aiutandoli a vivere il meglio possibile il tempo di vita che ancora c’è. L’emergenza Covid-19 e il conseguente periodo di isolamento ha avuto pesanti conseguenze su questa impostazione filosofica e sanitaria, anche presso la Casa Hospice Cima Verde. Il rigoroso rispetto delle indicazioni provinciali e nazionali e l’attenzione posta per la tutela di ospiti e operatori ha permesso di superare l’emergenza senza casi di contagio, ma Covid-19 ha significato per tutti noi privazione, fatica e anche dolore. Di seguito desideriamo raccontarvi com’è andata.
Nell’anno 2000 la Provincia Autonoma di Trento aveva istituito il Servizio Provinciale Cure palliative e nel 2006, sulla base delle indicazioni del Ministero alla salute circa il fabbisogno di posti letto in Hospice (per il Trentino 28 posti letto), aveva realizzato una struttura per il soddisfare tale indicazione.
Intervistiamo il dottor Giuliano Brunori, Presidente SIN, nonché Primario del Reparto di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale S. Chiara di Trento.
Buongiorno Primario, com’è cambiata l’organizzazione del Reparto e della dialisi da quando è insorta l’emergenza Covid-19?
È cambiata radicalmente. Fin dall’inizio i dati che provenivano soprattutto dalla Lombardia, investita prima di noi da questo Tsunami, ci hanno fatto capire che eravamo di fronte a un problema estremamente importante, soprattutto per i pazienti in emodialisi che sono stati pertanto i primi a essere interessati da provvedimenti organizzativi volti a evitare la diffusione del contagio. Pertanto per prima cosa abbiamo diffuso ai pazienti emodializzati una lettera nella quale erano invitati a segnalare, mediante contatto telefonico con il nefrologo, l’eventuale insorgenza di sintomi sospetti (come febbre, tosse, mancanza di respiro). Questo per evitare che un paziente con tali sintomi prendesse il mezzo di trasporto (spesso condiviso con altri pazienti) e arrivasse nel centro dialisi, facilitando la trasmissione dell’infezione.