di Danila Bassetti *
La Giunta Provinciale della Provincia Autonoma di Trento ha deliberato, in data 28 dicembre 2017, l’istituzione del Gruppo di lavoro permanente “Salute genere specifica”, in recepimento della mozione n.160 del 18 luglio 2017 “Promozione della medicina genere-specifica”, sulla base di indirizzi dettati da organismi nazionali ed internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la CEDAW (Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne).
Cerchiamo ora di chiarire che cosa sia la Medicina di Genere e quali siano i suoi obiettivi. Anzitutto va chiarito che sesso e genere sono due concetti ben diversi: sesso è ciò che è dato dalle caratteristiche biologiche (genetiche, anatomiche, endocrine), genere è un riferimento sociale di comportamenti, attività, attributi che una società considera specifici per gli uomini e per le donne. Nel senso che maschi e femmine si nasce, uomini e donne si diventa. Anche la salute è fortemente influenzata dal genere, in quanto è da esso prodotta, costruita, interpretata e vissuta socialmente.
Come tutti i farmaci alle azioni benefiche si possono sovrapporre anche effetti avversi che nella maggior parte dei casi sono di lieve entità: sintomi legati alla sfera gastrointestinali come discomfort addominale, nausea, diarrea, vomito e deficit vitaminici in particolare del gruppo B.
Un libro famoso di Fulvia Signani si intitola “La salute su misura: medicina di Genere non è medicina delle donne” ed esprime il concetto fondamentale che la Medicina di Genere è la scienza che studia l’influenza del sesso (accezione biologica) e del genere (accezione sociale) sulla fisiologia, fisiopatologia e clinica di tutte le malattie, per giungere a decisioni terapeutiche basate sull’evidenza, sia nell’uomo che nella donna. Come tale è una scienza multidisciplinare volta alla ricerca di differenze anatomo-fisiologiche a livello di tutti gli organi ed apparati nell’uomo e nella donna al fine di sviluppare protocolli appropriati per la pratica clinica. La Medicina fin dalle sue origini ha avuto un’impostazione “androcentrica” cioè legata a valutare effetti, manifestazioni delle malattie e delle terapie possibili, tenendo come modello di riferimento l’uomo in senso stretto del termine, cioè un tipo ideale di maschio, giovane, bianco, sui 70 kg di peso. La componente femminile era presa in considerazione solo per aspetti specifici correlati alla riproduzione. Dagli anni Novanta si è avuta una profonda evoluzione verso un approccio mirato a studiare l’impatto del Genere e di tutte le sue variabili, per una più completa caratterizzazione dello stato di salute e delle malattie. Il tutto originava dall’evidenza prodottasi nel tempo che varie patologie trovavano espressione clinica diversa nell’uomo e nella donna: risale al 1991 il primo documento ufficiale della cardiologa americana Bernardine Healy pubblicato come “The Yentl Syndrome” sul New England Journal, nel quale evidenziava come l’infarto miocardico si manifestasse in modo diverso negli uomini e nelle donne e come avesse un approccio clinico-terapeutico discriminatorio. Determinanti sono poi state le pubblicazioni di un’altra cardiologa, Marianne J. Legato che in modo anche faceto, vedi il suo libro “Perché gli uomini non si ricordano niente… e le donne non dimenticano mai”, ha approfondito il concetto di diversità tra i sessi, per poi applicarlo in tante aree della medicina fino a valorizzarle per un miglioramento della salute delle donne ed anche degli uomini.
A seguire, fiorì tutta una serie di evidenze che portarono alla piena consapevolezza di quanto fosse riduttivo adattare tout court alla donna modelli costruiti sull’uomo, tenendo conto solo di variazione antropometriche, quasi fosse solo un “piccolo uomo”. Tale diversa sensibilità ha poi aperto la strada verso una concezione ancora più moderna come Medicina “su misura” o personalizzata, per una più ampia valorizzazione di variabili multifattoriali in tutti i contesti clinici e che, non a caso, è stata definita la Medicina delle 4 P in quanto: personalizzata, predittiva, preventiva, partecipata.
Ma quali sono le differenze principali tra la Salute di Genere?
Fino a qualche decennio fa l’unica differenza provata era la diversa incidenza delle patologie autoimmuni: è risaputo che entità come l’artrite reumatoide, il LES, la sindrome di Sjögren, il diabete mellito di tipo 1, la celiachia, la tiroidite autoimmune hanno una netta prevalenza femminile. Nel corso degli anni numerosi rilievi epidemiologici hanno dimostrato altre differenze biologiche, che hanno ampliato il campo di interesse specifico.
Anzitutto il riscontro principale è che le donne godono di una sopravvivenza più elevata: il Rapporto Osservasalute 2015 evidenzia una speranza di vita alla nascita di 80,3 anni per gli uomini e 85 per le donne, attestando il primato per la maggiore longevità alla Provincia di Trento rispettivamente con valori di 81,3 e 86,1 anni. In merito alle cause di mortalità, il Rapporto ISTISAN rileva come per le donne la prima di esse sia dovuta a malattie del sistema cardiocircolatorio (48,4%), seguita da tumori (23,8%) mentre nell’uomo tali percentuali sono rispettivamente del 38,7 e 32,1%. La stessa mortalità in fase acuta per infarto miocardico è maggiore nelle donne, lo stesso dicasi dopo i 6 mesi e dopo i 6 anni dall’evento acuto.
La sintomatologia clinica dell’infarto può presentare delle differenze, che potrebbero stare alla base del diverso esito della malattia: un dolore atipico localizzato non al petto ma all’addome, alla zona interscapolare o alla mascella, oppure la sua stessa assenza potrebbero fuorviare una diagnosi tempestiva, con la sottovalutazione di sintomi generici come ansia, nervosismo o astenia. Per questo le donne arrivano tardi al pronto soccorso e spesso non sufficientemente sottoposte ad indagini mirate specifiche. Anche le complicanze dell’infarto sono più frequenti nelle donne: ipocinesie, gravi aritmie, dissezione coronarica sono per il 90% appannaggio femminile. Un’altra tipica patologia cardiaca genere correlata è la sindrome di Tako-Tsubo, quale alterazione della cinetica ventricolare con acinesia medio-apicale con coronarie indenni e rialzo degli enzimi di lisi cardiaca. I test strumentali non invasivi per la diagnostica ischemica quali il test ECG da sforzo o la cardioscintigrafia hanno nelle donne sensibilità e specificità ridotte, per verosimili variabili anatomiche come le minori dimensioni del cuore e l’interferenza del tessuto mammario. L’ictus è nella donna la seconda causa di morte mentre per l’uomo è la terza e questo spiega l’alta percentuale di grave disabilità motoria e cognitiva femminili. Anche la stessa demenza di Alzheimer è significativamente più ricorrente nelle donne, probabilmente per gli squilibri ormonali repentini cui l’organismo femminile è sottoposto. Un’altra peculiarità femminile è la diversa soglia del dolore, con maggiore sensibilità per differenze fisiologiche anche in termini di trattamenti analgesici e comparsa di effetti collaterali. La stessa risposta a farmaci di uso diffuso come l’aspirina, gli ACE-inibitori, le statine presentano, a seconda del sesso, una cinetica differente, che motiverà trials sperimentali diversificati per un’efficace farmacologia di genere.
Queste cognizioni hanno comportato l’esigenza di riformulare percorsi clinici e terapeutici, dedicandoli anche alle donne, come anche la nostra Azienda Sanitaria ha recentemente intrapreso, tanto da dedicare un ambulatorio specifico presso l’Ospedale di Rovereto e da promuovere iniziative “Bollini Rosa”, riservando particolare cura alla centralità della Paziente.
* Dr.ssa Danila Bassetti
Medico, Rappresentante della Consulta per la Salute PAT
[Articolo contenuto in Rene&Salute Anno XXXIII – Novembre 2018 – n. 3/4, pp. 11-12.]