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È giunto il momento di dare un colpo di reni

Motori della vita. Dall’Antico Testamento a Karen Blixen, passando per Ippocrate e Michelangelo, ecco la storia delle nostre fondamentali ghiandole. Che in Oriente sono chiamate «il mare dell’essenza»

di Vittorio Lingiardi

Dei reni si parla poco, a torto considerati organi di secondo piano, laggiù in lavanderia, custoditi nella parete posteriore dell’addome, a ripulirci dalle
scorie producendo liquidi di scolo. Eppure l’Antico Testamento li tiene in gran conto perché sede della coscienza morale. Dio, dice la Bibbia, «esamina i reni e il cuore». «Sei tu che hai formato i miei reni, che mi hai intessuto nel seno di mia madre», recita il Salmo 139. Per il Libro dei Proverbi possono addirittura sperimentare la gioia: «I miei reni esulteranno quando le tue labbra parleranno di rettitudine».

Un Cupido insolente. Lorenzo Lotto, Venere e Cupido (1530 circa), New York, Metropolitan Museum.

Il nome latino ren, renis potrebbe derivare, ma non v’è certezza, dal greco reo, scorrere. Di colore rosso bruno e a forma di fagiolo, i reni sono gli organi più vascolarizzati del corpo umano, attraversati ogni giorno da 180 litri di sangue. La loro missione è senz’altro idraulica, visto che da lì scorre l’urina che, dopo sofisticati processi di filtrazione e riassorbimento, consente l’eliminazione di sostanze dannose o in eccesso. «Cos’è l’uomo, se ci pensi bene, se non una macchina ingegnosa e minuziosamente impostata per trasformare, con infinita arte, il vino rosso di Shiraz in urina?», dice un personaggio delle Sette storie gotiche di Karen Blixen. L’evocazione enologica ci obbliga a menzionare i reni non umani, quelli dei poveri vitelli i cui rognoni finiscono trifolati sulle nostre tavole.

Dobbiamo pensare ai reni come a una coppia di custodi dell’omeostasi e di garanti del nostro equilibrio idrosalino. E di molto altro: stimolano il midollo osseo a produrre i globuli rossi, garantiscono la produzione della vitamina D senza la quale saremmo rachitici, regolano la pressione sanguigna. Il loro estratto dorato ma di scarsa nobiltà ha fatto la storia della medicina. Già Ippocrate ci ammoniva a tenerla sempre d’occhio, l’urina: la trasparenza (limpida, opalescente o torbida), l’odore, persino il sapore. Ma soprattutto il colore che, solitamente giallo paglierino, può virare al marrone, al rosso, all’ambrato o al coca cola, permettendoci così di risalire non solo alle caratteristiche dell’alimentazione, ma anche alla presenza di alcune malattie. L’urina è celebrata non solo nella famosa statuetta belga del Manneken-Pis, ma anche in un quadro strano e magnetico di Lorenzo Lotto, dove il getto di pipì di un Cupido insolente attraversa una ghirlanda e finisce sul ventre di Venere. Non poteva mancare un’urina mitologica, ovviamente di Zeus, che in forma di pioggia dorata cade su Danae, figlia del re di Argo: era l’unico modo per fecondarla, lei che fu rinchiusa in prigione dopo che una profezia aveva annunciato che suo figlio avrebbe causato la morte del re (il figlio poi nacque e si chiamò Perseo). La bella Danae attirò molti pittori, da Rembrandt a Tiziano, da Artemisia Gentileschi a Klimt.

Da che mondo è mondo il rene è associato ai calcoli. La prima traccia della loro presenza risale a cinquemila anni fa, identificati in una mummia egizia. Il Corpus Hippocraticum propone una teoria della formazione dei calcoli renali a tutt’oggi plausibile, anche se nel famoso giuramento il medico di Cos fa promettere al medico: «non inciderò chi ha calcoli, lasciandolo fare agli specialisti di questa pratica». La litotomia, intervento cruento e a rischio d’infezione, non rientrava, insomma, nell’arte della medicina.

Oggi per fortuna esiste un apparecchio che si chiama litotritore: niente bisturi, ma onde d’urto. Se il nome antico dei calcoli era “male della pietra”, a tutt’oggi i centri all’avanguardia per la loro diagnosi e cura si chiamano “Stone centers”. I calcoli, di diversa misura, evocano le consistenze minerali del corpo, in forma di pietre, pietruzze e sabbia, che prende il buffo diminutivo di “renella”. Nel fortunato romanzo di Milena Agus Mal di pietre, l’amore arriva proprio durante una cura termale per i calcoli e così queste presenze interne finiscono per essere identificate con un mal d’amore, travolgendo la protagonista in una storia di inattesa felicità con un uomo sposato e zoppo, anch’egli pieno di sassolini.

Proprio come al tempo di Ippocrate («Sono affetti da calcoli, nefriti, stranguria e sciatica coloro che bevono acque composite»), la salute dei reni è molto legata alla nostra predisposizione per le acque. Approfittando del termine appena menzionato di stranguria (emissione dolorosa dell’urina, come in certe cistiti), affascinato dalle parole antiche della medicina, mi piace ricordare il vocabolario dei disturbi della minzione: poliuria (se è tanta), oliguria (se è poca), anuria (se è assente), pollachiuria (se è frequente), nicturia (se è notturna). «Io ò bevuto circa due mesi sera e mattina d una aqqua d una fontana che è a quaranta miglia presso Roma, la quale rompe la pietra; e questa à rotto la mia e fattomene orinar gran parte». Così Michelangelo, sofferente di calcoli e forse morto di nefropatia ostruttiva. Era così devoto all’anatomia e allo studio della sua malattia che alcuni hanno ipotizzato abbia dipinto la forma di un rene nel mantello del Creatore che separa la terra dall’acqua nel soffitto della Sistina.

La storia ci consegna decine di trattati nefrologici e urologici: dal De urinis di Galeno al De urinis di Gilles de Corbeil, medico francese di scuola salernitana. A proposito di pietre, la sua opera è considerata una pietra miliare nell’interpretazione dell’esame dell’urina. Ma il versatile de Corbeil non si limita a un arido trattato, compone addirittura un poema in versi, il Carmina de Urinarum. Non solo protagonista della medicina occidentale, il rene è anche un celebratissimo organo della medicina orientale: «ci sono due reni», scrive il medico cinese seicentesco Zhang Jie Bin, «con la Porta della Vitalità tra di loro; il rene è l’organo dell’acqua e del fuoco, la dimora di yin e yang, il mare dell’essenza, e determina la vita e la morte».

Al rene possono capitare molte cose. Può essere mobile (quando si sposta dalla sua accogliente culla di grasso, per esempio in ptosi renali da dimagrimento eccessivo, come nelle grandi anoressie), poli cistico, neoplastico. Può essere donato e trapiantato (più di mila all’anno in Italia), e può essere “artificiale”, che è il nome colloquiale delle apparecchiature mediche per emodialisi che consentono di vivere a tante persone con insufficienza renale. Il primo trapianto (tra gemelli) fu effettuato nel 1954 da Joseph Murray e questo gli valse nel 1990 il Nobel per la medicina.

Sulla testa dei reni ci sono due cappucci gialli. Sono le ghiandole surrenali che producono ormoni come l’adrenalina, l’aldosterone e il cortisolo, e le catecolamine, adrenalina e noradrenalina che secerniamo prontamente in situazioni di stress (anche il rene ha una psicologia).

Gli organi interni hanno una corrispondenza lombare fragile e flessuosa: le reni. A noi italiani hanno portato la guerra e la sventura, minacciate dalla sbruffonata mussoliniana: «spezzeremo le reni alla Grecia». Baudelaire ci invita invece ad accarezzarle, che sian di gatto, «feconde le reni e piene di magiche scintille», o di donna, «liscie come l’olio, sinuose come un cigno».

Articolo pubblicato originariamente su Domenica de Il Sole 24 Ore del 10 gennaio 2021, p. I e riprodotto con il cortese consenso della testata.

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