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Emergenza Covid-19: l’impegno di Casa Hospice Cima Verde

a cura della Fondazione Hospice Trentino ONLUS

“Cure palliative e hospice” significa accogliere e accompagnare persone con malattie non più guaribili, assieme ai loro familiari, aiutandoli a vivere il
meglio possibile il tempo di vita che ancora c’è. L’emergenza Covid-19 e il conseguente periodo di isolamento ha avuto pesanti conseguenze su questa impostazione filosofica e sanitaria, anche presso la Casa Hospice Cima Verde. Il rigoroso rispetto delle indicazioni provinciali e nazionali e l’attenzione posta per la tutela di ospiti e operatori ha permesso di superare l’emergenza senza casi di contagio, ma Covid-19 ha significato per tutti noi privazione, fatica e anche dolore. Di seguito desideriamo raccontarvi com’è andata.

Operatori presso la Casa Hospice Cima Verde (foto di Alessio Coser).

Nell’anno 2000 la Provincia Autonoma di Trento aveva istituito il Servizio Provinciale Cure palliative e nel 2006, sulla base delle indicazioni del Ministero alla salute circa il fabbisogno di posti letto in Hospice (per il Trentino 28 posti letto), aveva realizzato una struttura per il soddisfare tale indicazione.

Al momento dell’inizio della pandemia gli hospice operativi, inseriti nella rete provinciale Cure Palliative, erano tre:
• a Trento, Casa Hospice Cima Verde: 12 stanze singole, struttura della Provincia, gestita da Fondazione Hospice Trentino Onlus (costituita a Trento nel 2007)
• a Mori (Rovereto): 9 stanze singole, struttura e gestione della locale APSP Cesare Benedetti
• a Mezzolombardo: 8 stanze singole, struttura e gestione dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari.

Il 14 aprile l’APSS ha convertito l’hospice di Mezzolombardo in reparto Covid-19, cercando di potenziare l’assistenza domiciliare e chiedendo a Casa Hospice Cima Verde di aggiungere, quando necessario, il secondo letto in due delle 12 stanze.

Casa Hospice Cima Verde è stata aperta nel gennaio 2017, ed è gestita da Fondazione Hospice Trentino Onlus in convenzione con Provincia Autonoma di Trento. La struttura è stata realizzata da Patrimonio Trentino spa, arredi e attrezzature sanitarie sono stati donati dalla Fondazione Caritro che, assieme ad A.P.A.N., è uno dei Soci Fondatori.

Le stanze sono 12, singole ma dotate di divano letto a disposizione del familiare o comunque del caregiver dell’ospite. L’intera struttura è stata progettata per far in modo che l’ospite, e i caregiver, si sentano a casa, secondo quanto prevedono le Cure palliative.

Il personale di Casa Hospice è rappresentato da: un coordinatore infermieristico, 12 infermieri, 6 operatori socio sanitari, il direttore, la segretaria, il manutentore. Il Direttore Sanitario, 2 fisioterapisti ed una psicologa collaborano invece come libero professionisti. Accanto alle normali attività di assistenza e accompagnamento a favore di ospiti e caregiver, Casa Hospice Cima Verde propone alcune attività come la musicoterapia, la pet therapy, incontri tra ospiti e tra familiari, iniziative di intrattenimento e socialità.

Un ruolo molto importante è svolto dai volontari, formati e coordinati da Associazione Amici Fondazione Hospice Trentino (costituita nel 2016 e che attualmente conta un centinaio di volontari, impegnati a Casa Hospice Cima Verde, all’hospice di Mezzolombardo e a domicilio), che svolgono diverse attività: dal servizio di accoglienza (che si è confermato fondamentale anche in occasione dell’emergenza Covid) allo “stare” accanto a ospiti e caregiver (attività sospesa all’inizio della pandemia), al “fare” attività varie, dal giardinaggio alle iniziative di sensibilizzazione e raccolta fondi (anche queste attività sono state sospese durante la pandemia).

Fotogramma tratto dal documentario “Il mantello di San Martino“.

Ad inizio marzo, quando fu chiaro che stava accadendo un fatto straordinario che avrebbe stravolto il normale quotidiano funzionamento di Casa Hospice, tutti noi ci rendemmo conto, con dolore e fatica, che si sarebbe andati incontro ad un periodo di snaturamento della funzione e dello stesso motivo di esistere dell’hospice. Era infatti evidente che i termini “chiusura”, “distanziamento fisico”, “copertura del volto con mascherina”, ”riduzione al minimo dei contatti” rappresentavano l’esatto contrario dell’atteggiamento di chi opera in una struttura dedicata alla cura e all’accompagnamento di persone che vivono le fasi più fragili e delicate della loro vita. Nella gestione dell’emergenza pandemia Fondazione Hospice, sentiti il direttore sanitario e la dirigenza e in accordo con Associazione Amici Fondazione Hospice, ha osservato rigorosamente le indicazioni date da Provincia e Azienda Sanitaria, cercando di ridurre il più possibile la sofferenza e il disagio del distacco fisico tra ospiti e familiari. Questo aspetto è stato sicuramente il più complesso da gestire, operativamente ma anche emotivamente, e ha comportato un grande impegno particolare da parte di tutto lo staff di Casa Hospice.

Anche la richiesta di introdurre in due stanze il secondo letto (eliminando il divano letto), è stata accolta tenendo conto della situazione di emergenza, ma con la consapevolezza che la pandemia stava sconvolgendo i principi cardine delle Cure palliative e degli hospice. Per questo l’impegno di tutti è andato nella direzione di alleviare, per quanto possibile, la fatica e il dolore che il distacco fisico da familiari e caregiver causava agli ospiti.

La cronologia: andiamo con ordine

10 marzo: viene sospesa l’attività dello “stare” accanto a ospiti e caregiver dei volontari; due giorni dopo viene sospeso anche il servizio di accoglienza. Più in generale sono sospese tutte le attività dei volontari a Casa Hospice, all’hospice di Mezzolombardo e a domicilio.

12 marzo: in applicazione alle disposizioni provinciali viene sospesa la possibilità di accedere alla struttura di familiari e caregiver. Si cerca di facilitare il collegamento telematico tra ospiti e familiari, assistiti dagli operatori.

16 marzo: inventiamo il “metodo spiraglio”, reso possibile dal fatto che 6 delle 12 stanze hanno accesso diretto al giardino. Le porte finestre vengono aperte di 30 centimetri, in modo che il familiare, che può accedere al giardino senza entrare nella struttura, possa comunicare con l’ospite a voce e con la possibilità di vedersi. Per gli ospiti delle altre 6 stanze, che danno su un balcone, quando necessario e se possibile, viene attuata la rotazione della stanza. Il metodo richiede un’attenta sorveglianza da parte di tutto il personale, perché il desiderio di abbracciare il proprio caro, potrebbe indurre il familiare a derogare alle regole della prudenza e della prevenzione.

20 maggio: si riapre l’ingresso in reparto per l’assistenza spirituale e riprende l’attività dei tirocinanti infermieri, OSS e psicologi.

17 giugno: il distacco fisico dei familiari dal proprio caro è tanto più pesante quando l’ospite conclude la propria vita a Casa Hospice. Si decide quindi di permettere l’ingresso ai familiari dell’ospite che si trovi in prossimità della morte, adottando una specifica procedura di controllo e prevenzione.

18 giugno: per alleggerire la pressione sugli operatori di reparto che devono anche rispondere alle numerose telefonate di richiesta di informazioni da parte dei familiari, si decide di riprendere la copertura, da parte dei volontari di Associazione, del servizio di accoglienza, dopo un momento di formazione specifico sulle procedure da seguire anti-Covid. Il volontario in accoglienza riprende il lavoro del centralino, accoglie i fornitori (che devono comunque rimanere all’esterno della struttura) e accompagna i familiari che devono accedere al giardino con il “metodo spiraglio” o chi deve accedere per l’assistenza nell’imminente fine vita del proprio caro.

Operatori presso la Casa Hospice Cima Verde.

18 giugno: si riavviano due delle diverse attività di intrattenimento degli ospiti fin qui sospese: solo all’esterno della struttura, con l’uso di mascherine a mantenendo le distanze previste, riprendono “musicainsieme” e la “gelatata” settimanale, attività gestite dai volontari di Associazione.

6 luglio: si decide di riavviare l’attività dello “stare” dei volontari in giardino: dopo aver accompagnato il familiare (metodo spiraglio) il volontario rimane in giardino (pur con discrezione) per verificare il rispetto delle distanze e delle modalità di sicurezza: questo permette di alleggerire il carico di lavoro degli operatori di reparto che dall’inizio dell’emergenza è stato notevole. Il volontario è a disposizione del familiare che abbia piacere di scambiare qualche parola o abbia qualche necessità.

20 luglio: si decide di riaprire l’ingresso dei volontari in reparto per l’attività dello “stare”, con le modalità richieste dai protocolli di sicurezza (in particolare mascherina e distanziamento); tra le altre attività i volontari possono accompagnare in giardino gli ospiti che lo desiderino e le cui condizioni lo permettano.

Dal 14 aprile al 31 luglio: in seguito alla trasformazione dell’hospice di Mezzolombardo in Reparto Covid19 e su richiesta di APSS, in due stanze viene aggiunto un secondo letto. Per questo periodo Casa Hospice Cima Verde può quindi accogliere fino a 14 ospiti. In ogni caso tutte persone negative al Covid test.

Durante il periodo di isolamento generale (lockdown) le caratteristiche degli ospiti si sono parzialmente modificate rispetto al periodo precedente. I familiari di alcuni pazienti sapendo che in Casa hospice non avrebbero potuto stare vicini ai loro cari, hanno preferito tenerli a casa oppure trasferirli in altra struttura che aveva deciso di mantenere la possibilità di accesso di un familiare. I ricoveri per sollievo temporaneo si sono quindi azzerati ma è aumentato il numero di persone ospitate più per motivi sociali che strettamente sanitari: persone sole, mancanza di assistenza a domicilio, persone in attesa di essere trasferite in RSA.

Fotogramma tratto dal documentario “Il mantello di San Martino“.

L’impossibilità di accogliere in Casa Hospice anche i familiari ha sicuramente aumentato il dolore degli ospiti, ed ha impedito alla struttura di mantenere quello che è un suo compito molto importante: prendersi cura anche della sofferenza dei familiari. In questa situazione esacerbata dalla lontananza, la non presenza di familiari e l’isolamento che ne è derivato, hanno richiesto un impegno maggiore a tutti gli operatori.

Sono stati intensificati i colloqui con i familiari, per aiuto e conforto e, dove possibile, sostegno psicologico telefonico. Il periodo primaverile ed estivo ha permesso di effettuare colloqui con i familiari all’esterno.

Gli operatori hanno retto il sistema aggiungendo al lavoro abituale di assistenza e cura, mansioni e preoccupazioni ulteriori, anche a causa della mancanza dei volontari. Hanno vissuto l’emergenza con ambivalenza di sentimenti: ben comprendevano la sofferenza del familiare per il distacco dal loro caro, ma anche la necessità di tutela degli ospiti, dei familiari e di loro stessi nell’interesse generale. Hanno affrontato la frustrazione di dover “snaturare” la filosofia delle cure palliative ed hanno aumentato la loro presenza nell’accompagnamento alla morte dell’ospite. Hanno sempre mantenuto alto il livello del servizio anche per i bisogni precedentemente soddisfatti dai volontari. Si sono reinventati parrucchieri, estetisti, pasticceri e organizzatori di feste di compleanno… cercando di mantenere per quanto possibile il clima della casa.

In questo modo non solo si è potuto mantenere alto lo standard di assistenza ma non ci sono stati abbandoni del lavoro, né assenze per malattia e, forse per fortuna o forse per rispetto delle norme, nemmeno quarantene per contatti Covid positivi.

L’obbligata sospensione dell’attività dei volontari non è stata indolore. Gli stessi volontari hanno dovuto rinunciare a un impegno assunto con convinzione e per scelta etica e motivazionale; gli operatori non hanno potuto contare su una collaborazione preziosa nella gestione della quotidianità in hospice; ospiti e familiari sono stati privati di una figura “terza” (non un operatore e non un caro emotivamente più coinvolto), una presenza discreta alla quale potersi rivolgere per avere compagnia, conforto, disponibilità al dialogo o anche solo all’ascolto. Lo sforzo per far fronte all’emergenza Covid è stato grande per tutti noi. Gli operatori di cure palliative sono preparati e predisposti a dare “qualcosa in più” della stretta assistenza professionale sanitaria, ma quanto a lungo avrebbero potuto reggere? Deve ben essere chiaro alla società che queste situazioni non possono diventare la regola: sarebbe come regredire ai tempi in cui chi non poteva guarire era abbandonato dalla medicina ed eventualmente assistito solo da istituzioni caritatevoli. Concludiamo queste riflessioni riaffermando i due concetti chiave che nascono dalla cultura delle Cure palliative e che ispirano la nostra attività:

Diamo dignità alla vita che c’è

Le cure palliative sono un diritto

[Articolo contenuto in Rene&Salute Anno XXXV – Dicembre 2020 – n. 3/4, pp. 6-9]