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La dieta della salute planetaria

Calare il consumo per una salute migliore

di Diana Zarantonello *

Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse verso il problema del cambiamento climatico che minaccia la stabilità del pianeta e la sopravvivenza dei suo abitanti. Tuttavia si parla ancora poco di come ciò si colleghi alla produzione e al consumo di cibo. A tal proposito è stato recentemente pubblicato un documento che ha l’ambizioso scopo di rispondere alla delicata questione se esista una dieta in grado di sfamare 10 miliardi di persone (è questa la stima di quello che sarà il numero di abitanti del nostro pianeta nel 2050), mantenendole in salute, senza esaurire le risorse del pianeta e senza stravolgerne il clima.

The Lancet | Il cibo nell’Antropocene

Il Lancet, una tra le maggiori riviste scientifiche a livello internazionale, ha incaricato a tal scopo la commissione EAT (organizzazione di scienziati indipendente senza fini di lucro con base a Oslo) perché analizzasse il problema da vari punti di vista. Sotto la codirezione di Walter Willett, epidemiologo di fama mondiale, della Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston (Stati Uniti) e Johan Rockström, dello Stockholm Resilience Centre di Stoccolma (Svezia) e del Potsdam Institute for Climate Impact Research in Germania, sono stati pertanto convocati 35 tra i massimi esperti di clima, salute, economia e agricoltura, provenienti da 16 diversi paesi.

Lo scopo era di ideare una dieta che fosse efficiente dal punto di vista della produzione del cibo e al tempo stesso salutare e adeguata alle diverse popolazioni del pianeta. Attualmente le disparità esistenti nell’acceso al cibo sono causa di malattie legate sia all’iponutrizione quando si assumono troppo poche proteine e poche calorie, come avviene in molti paesi africani e sudamericani, sia all’ipernutrizione, come avviene invece nei paesi occidentali, dove è l’eccesso di cibo ultra processato e ipercalorico a determinare l’insorgenza di patologie come diabete, obesità, malattie cardiovascolari, neoplasie, che ormai hanno raggiunto percentuali epidemiche. Attualmente si stima che le persone senza cibo sufficiente per sfamarsi siano circa 820 milioni, mentre i soggetti obesi a livello mondiale sono circa 1,5 miliardi. Nel documento viene sottolineato che le diete non salutari, sia in termini di qualità che per quantità (sia in eccesso che in difetto), rappresentano un rischio per morbilità e mortalità maggiore rispetto al rischio combinato di sesso non sicuro, uso di alcol, droghe e tabacco.

Al contempo la produzione alimentare globale minaccia la stabilità climatica e la resilienza degli ecosistemi e costituisce il principale fattore di degrado ambientale e di superamento dei limiti del pianeta. Infatti la produzione di cibo comporta un ingente consumo di risorse terresti, in termini di utilizzo di suolo, acqua, produzione di anidride carbonica.

Per tali motivi il cibo, in termini di produzione e consumo, rappresenta attualmente il fattore singolo più importante per incidere globalmente sia sulla salute umana e sia su quella del pianeta.

Considerati insieme questi aspetti, relativi allo stato attuale di salute delle persone e dell’ambiente, lo scenario che si prospetta nel futuro è assai preoccupante. È pertanto urgente una trasformazione radicale del sistema alimentare globale. Senza azione, infatti il mondo rischia di non riuscire a raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite e dell’Accordo di Parigi, e i bambini di oggi rischiano di ereditare un pianeta che è stato gravemente degradato e dove gran parte della popolazione soffrirà sempre più di malnutrizione e di malattie potenzialmente prevenibili (obesità, ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo II, neoplasie).

Esistono numerosi lavori che hanno analizzato l’impatto ambientale delle diverse diete, e la maggior parte degli studi concorda sul fatto che una dieta ricca di alimenti a base vegetale e con meno alimenti di origine animale conferisca benefici sia in termini di salute che di impatto ambientale. Valutando le prove scientifiche esistenti, la Commissione ha sviluppato obiettivi scientifici globali per diete sane e produzione alimentare sostenibile e ha integrato questi obiettivi scientifici universali in un quadro comune.

Questo spazio operativo sicuro è definito da obiettivi scientifici per l’assunzione di specifici gruppi di alimenti (ad es. 100-300 g/ giorno di frutta) per ottimizzare la salute umana e obiettivi scientifici per la produzione alimentare sostenibile per garantire un sistema terrestre stabile. Operare al di fuori di questo spazio per qualsiasi processo del sistema terrestre (ad esempio alti tassi di perdita di biodiversità) o gruppo alimentare (ad esempio un’insufficiente assunzione di verdure) aumenta il rischio di danni alla stabilità del sistema sia terrestre sia dalla salute umana.

Cibo e impatto ambientale

Analizzando la produzione di cibo, scopriamo che gli alimenti vegetali poco o per nulla lavorati (verdura, frutta, legumi, cereali e semi oleaginosi) sono quelli che hanno una maggior efficienza energetica, cioè consumano poche risorse terrestri a parità di calorie prodotte rispetto ad altri che invece “costano” tanto in termini di consumo di terra e acqua. Infatti per produrre una sola caloria di carne vengono consumate dalle 10 alle 17 calorie provenienti dai mangimi (soia e cereali soprattutto), che se utilizzati in modo diretto per il consumo umano permetterebbero di nutrire un maggior numero di persone. Inoltre, secondo la FAO (2009) solo l’allevamento bovino, a causa delle flatulenze del bestiame e del disboscamento legato alla creazione di monoculture di soia e cereali usate come foraggio, contribuisce all’effetto serra in maniera uguale all’intero traffico automobilistico. Globalmente il settore dell’allevamento di bestiame (bovini, maiali, pecore, piccoli ruminanti e volatili) produce persino più gas serra rispetto al sistema mondiale di tutti i trasporti, aerei compresi, (il 18% contro il 14%), inserendosi tra i principali responsabili del riscaldamento globale del pianeta. Inoltre, nell’arco di una sola giornata, un’azienda di ingrasso con 10.000 animali produce la stessa quantità di liquami di una città con 110.000 abitanti, e ciò contribuisce all’inquinamento del suolo e delle acque, che divengono sterili a causa dell’eccessiva concentrazione di azoto.

Senza contare che la carne rossa è considerata con sempre più sospetto anche dal punto di vista del suo impatto sulla salute, in quanto il suo consumo è stato collegato all’insorgenza di numerose patologie come diabete tipo II, ipertensione, malattie cardiovascolari, alcuni tipi di neoplasie, nonché nefropatie. Fortunatamente i cibi vegetali, che risultano avere una maggior efficienza energetica (producono molte calorie con poche risorse), sono anche quelli che risultano associati ad un miglior stato di salute.

La dieta per la salute planetaria

La dieta per la salute planetaria delinea gruppi di alimenti e quantità di assunzione di cibo che, combinati in una dieta, ottimizzerebbero la salute umana (figura 1). Ovviamente ciò non implica che la popolazione mondiale debba mangiare esattamente lo stesso cibo, né prescrive una dieta esatta. L’interpretazione e l’adattamento locali della dieta per la salute planetaria dovrebbero infatti riflettere la cultura, la geografia e la demografia della popolazione e degli individui.

Figura 1. Il piatto per la salute planetaria. A destra si noti come le fonti proteiche andrebbero suddivise, e come la maggior parte provengano da fonti vegetali (legumi e semi oleaginosi).

Complessivamente identifica una dieta che può essere definita “flexitariana”, cioè prevalentemente basata su alimenti vegetali ma con l’utilizzo saltuario di alimenti di origine animale. In tutto prevede circa 5 assunzioni di porzioni (piccole) di cibi di alimenti carnei alla settimana: 1 porzione di carne rossa (da 100 g), 2 porzioni di pollame (da 100 g), 2 porzioni di pesce (da 100 g). In aggiunta, come cibi animali, sono permessi 1 uovo e mezzo alla settimana e 250 g di latte intero al giorno o latticini equivalenti (un pezzetto piccolo di formaggio). Tra i cibi vegetali quelli dei quali andrebbe favorito il consumo sono la verdura, la frutta, i cereali integrali, i semi oleaginosi e i legumi, mentre andrebbero limitate le patate e lo zucchero semplice (figura 2).

Figura 2. I consumi giornalieri suggeriti per i diversi alimenti nella dieta per la salute planetaria, e il corrispondente apporto calorico.

Tale dieta, data lo scarso apporto di cibi di origine animale, non garantisce un adeguato apporto di vitamina B12, che va quindi integrata. Gli autori specificano che tale dieta non è vegetariana, né vegana, poiché prevede un apporto (anche se limitato) di cibi di origine animale, anche se tali diete possono rappresentare delle alternative salutari.

Implicazioni delle modifiche rispetto ai regimi dietetici attuali

La modifica della dieta attuale verso la dieta per la salute planetaria richiede una modifica sostanziale delle abitudini alimentari globali. In particolare il consumo globale di frutta, verdura, semi oleaginosi e legumi dovrebbe raddoppiare, mentre il consumo di carne rossa e zucchero dovrebbe ridursi a meno della metà dell’attuale (figura 3).

Figura 3. Il confronto tra il consumo mondiale attuale dei diversi gruppi di alimenti (spicchi colorati), rispetto alle indicazioni della dieta della salute planetaria. Vi è un consumo eccessivo di carni bovine, patate e uova, mentre il consumo di alimenti salutari come semi oleaginosi, cereali integrali, legumi, frutta verdura risulta gravemente deficitario.

Queste indicazioni tuttavia si modificano da regione a regione in base alle diete attualmente vigenti: per esempio negli Stati Uniti, dove il consumo di carne rossa è molto elevato, la riduzione di questo alimento dovrebbe essere più drastica, arrivando ad un sesto del consumo attuale. La modifica delle abitudini dietetiche verso la dieta della salute planetaria, oltre a permettere di raggiungere gli obiettivi prefissati dall’accordo di Parigi, sarebbe anche in grado, in base alle stime, di prevenire approssimativamente 11 milioni di morti all’anno, che rappresentano dal 19 al 24% delle morti totali nella popolazione adulta.

Questo documento dovrebbe farci riflettere su quanto il futuro della nostra salute e del nostro pianeta dipenda anche da quello che quotidianamente mettiamo nel piatto e su come con le nostre azioni quotidiane possiamo contribuire nel bene o nel male al destino nostro e dei nostri figli.

Bibliografia

The EAT-Lancet Commission on Food, Planet, Health (2019) “Can we feed a future population of 10 billion people a healthy diet within planetary boundaries?” (https://eatforum.org/eat-lancet-commission/).
Stefano Carnazzi (2015) “Quanto costa veramente una bistecca”. Expo Net (http://www.expo2015.org/magazine/it/sostenibilita/quanto-costa-veramente-una-bistecca.html).
The Lancet (2018) “We need to talk about meat: Editorial”. The Lancet, Volume 392, Issue 10161, p. 2237, 24 novembre 2018 (https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736%2818%2932971-4/fulltext).

* Dott.ssa Diana Zarantonello
Dirigente medico Struttura Complessa Nefrologia e Dialisi
Ospedale S. Chiara di Trento

[Articolo contenuto in Rene&Salute Anno XXXIV – Aprile 2019 – n. 1/2, pp. 6-8]